La tregua è finita. Dopo due mesi di cessate il fuoco la parola torna alle armi. Dai bombardamenti su obiettivi mirati Israele si prepara a tornare in forze sul campo che non ha mai abbandonato: sta distribuendo alle unità militari i piani per la “seconda fase”. E non sono piani di pace.
Arenati i colloqui di Doha e gli incontri al Cairo: nessuna proposta finora si è rivelata percorribile fino in fondo. Ci hanno provato le delegazioni americane ed egiziane, il Qatar e i paesi della Lega araba. Nessuno ha trovato trovato una soluzione che consentisse di raggiungere i principali obiettivi, dopo la fase uno che ha sospeso la guerra e ha consentito l’ingresso degli aiuti umanitari.
Hamas ancora in forze a Gaza
I punti cardine della seconda fase sono la liberazione degli ostaggi e il definitivo ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia, soprattutto l’avvio di un processo che porti a un governo di Gaza considerato “sicuro” per Israele. In sostanza: senza Hamas. La strage del 7 ottobre non può essere dimenticata. Le proposte si sono arenate man mano che venivano riformulate e i punti irrisolvibili sono sempre gli stessi: Hamas non vuole arrendersi e abbandonare Gaza, non vuole rilasciare gli ostaggi, almeno non subito e soprattutto non tutti come aveva chiesto Donald Trump. Sono la carta vincente che da più di 17 mesi tiene in scacco Israele.
La tregua, secondo quanto ha rivelato uno degli ostaggi rilasciati, non è servita solo a rifornire la popolazione di cibo e medicinali, Hamas continua a scavare, a ricostruire la rete di tunnel che ha permesso ai terroristi di preparare l’attacco del 7 ottobre 2023, nascondere i missili, sopravvivere alla offensiva scatenata da Israele. Oltre la metà delle truppe di Hamas sarebbe ancora in forze e in grado di combattere, ed altri guerriglieri si sarebbero aggiunti: tra loro, molti di quelli liberati dalle carceri israeliane in cambio dei pochi ostaggi e dei corpi di alcuni degli israeliani rapiti nel 2023 (tra i quali i piccoli Bibas, la cui terribile sorte pesa ormai come un macigno irremovibile ogni volta che viene aperto il dossier Gaza).
Le trattative saltate
Hamas vuole contare, essere presente nel futuro di Gaza, sia questo un futuro di guerra o di ricostruzione. Nonostante le distruzioni, l’esercito-partito jihadista è forte e conta, tanto che gli americani hanno cercato di trattare direttamente con i suoi rappresentanti per liberare almeno uno degli ostaggi con passaporto Usa. Una trattativa “separata” condotta all’insaputa di Tel Aviv, poi scoperta dai servizi segreti israeliani che l’hanno fatta fallire rendendola pubblica, con l’accusa all’alleato americano di tenere aperto un canale riservato di trattativa che esclude il leader del paese Benjamin “Bibi” Netanyahu.
Ogni volta che dal cessate il fuoco di gennaio sembrava essere in vista una soluzione, è accaduto qualcosa che ha fatto fallire gli accordi. L’ultima prova si è avuta quando è sembrato delinearsi un governo per la Striscia che fosse composto da personalità “non ostili” a entrambe le parti. Giuristi, tecnici, amministratori, finanzieri: palestinesi che vantano rapporti internazionali e che finora si sono mantenuti “neutrali”. Ma in una guerra così non esiste la neutralità. Nessuno è al di sopra delle parti. Tutti sono in qualche modo intrappolati in quei tunnel in cui non si vede nessuna luce, nessuna via di uscita.
«Colpiremo i terroristi in tutta la Striscia»
Così è arrivati alla definitiva fine della tregua e soprattutto all’inizio di una nuova offensiva. In alcune aree di Gaza sono stati consegnati alla popolazione gli ordini di evacuazione: un chiaro segnale di nuovi massicci attacchi. Hamas denuncia oltre trecento morti negli ultimi bombardamenti, centinaia di feriti. Dichiarati uccisi diversi alti funzionari.

Il ministero degli Affari esteri israeliano dichiara in una nota consegnata alla stampa e alle cancellerie internazionali: «Israele sta operando con tutte le forze contro l’organizzazione terroristica Hamas nella Striscia di Gaza e da questo momento in poi Israele agirà contro Hamas con crescente intensità militare». E cita come causa dell’attacco il continuo rifiuto opposto da Hamas alle proposte di cessate il fuoco: «Hamas ha respinto due concrete proposte di mediazione presentate dall’inviato del presidente degli Stati Uniti, Steve Whitkoff». Israele le aveva accettate, sottolinea la nota, «Hamas le ha rifiutate. L’Idf sta colpendo postazioni terroristiche di Hamas in tutta la Striscia di Gaza, con l’obiettivo di liberare gli ostaggi, smantellare le infrastrutture militari e governative di Hamas e rimuovere la minaccia alla sicurezza di Israele e dei suoi cittadini».
Il nodo dell’arruolamento degli ultraortodossi
Proprio mentre Israele annunciava di voler riprendere la guerra, il procuratore generale ha invitato il ministero della Difesa a promuovere sanzioni contro gli ebrei ultraortodossi che si rifiutarono di prestare il servizio militare: la risposta venuta dal mondo haredi (i religiosi contrari all’arruolamento nell’esercito) alla richiesta di contribuire alla difesa dello Stato ebraico è giudicata «trascurabile» e nella emergenza in cui si trova il paese «danneggia la sicurezza nazionale e impone un onere ingiusto ad altri segmenti della popolazione».
Dal giugno del 2024 l’Alta Corte ha stabilito che il governo israeliano deve arruolare nell’esercito gli studenti delle yeshiva (le scuole religiose ultraortodosse), perché non esiste più alcun quadro giuridico che permetta di portare avanti l’accordo decennale che concerne la loro l’esenzione dal servizio militare. Proprio l’applicazione di questa direttiva era uno dei motivi che aveva aveva portato al licenziamento del ministro della Difesa Yoav Gallant, sostituito da Netanyahu con Israel Katz, considerato più vicino ai religiosi. E infatti Katz ha cercato invece di dilazionare l’arruolamento, limitandolo a circa la metà di chi ne avrebbe l’obbligo.
Accuse e controaccuse tra Netanyahu e Shin Bet
Una politica, quella del nuovo ministro, che ha destato non pochi malumori tra quanti vedono i loro figli partire per il fronte per difendere lo Stato ebraico, ma anche tra gli stessi ortodossi che si rifiutano di combattere. La questione è un grave problema per Netanyahu, il cui governo è sostenuto dagli ultrareligiosi, e si intreccia con un altro nodo cruciale: Bibi vuole licenziare Ronen Bar, il capo del servizio segreto interno, lo Shin Bet, che ha pubblicato un proprio report sul massacro del 7 ottobre 2023 dove non solo si denunciano le carenze dell’esercito che era stato concentrato in Cisgiordania sottovalutando il pericolo dell’attacco da Gaza, ma soprattutto si evidenzia come per anni i governi israeliani hanno consentito e addirittura incoraggiato il Qatar a finanziare Hamas per indebolire l’Aurità nazionale palestinese di Abu Mazen, nella convinzione che in questo modo il gruppo fondamentalista avrebbe privilegiato gli interessi economici evitando il rischio di erodere le laute entrate con una guerra aperta contro Israele.
Alla richiesta di dimissioni Bar ha risposto rilanciando: ammette le responsabilità dello Shin Bet nella sottovalutazione del pericolo ma non intende lasciare il campo perché Netanyahu possa insediare un suo uomo che non gli procuri ulteriori fastidi. Bar chiede quello che già chiedeva Gallant prima di essere (anche per questo) cacciato: una commissione di inchiesta che analizzi i fallimenti politici di Israele, oltre che gli errori militari. Spine nel fianco del premier israeliano che mentre si avvia a una nuova fase di guerra aperta vorrebbe poter controllare tutti gli apparati dello Stato con uomini a lui fedeli. Compresi i giudici. I familiari degli ostaggi non ancora liberati pregano invano che sia data un’altra possibilità di salvare i loro cari chiusi nell’orrore dei tunnel. Il popolo di Gaza si prepara a una nuova stagione di fuga, nella Striscia divenuta per tutti una trappola mortale.