La storia di Njeem Osama Almasri può essere analizzata nei dettagli oppure, più semplicemente, può mettere in luce ciò che non viene detto, il cuore inconfessabile della questione: si tratta di una questione di sicurezza nazionale, su cui pesano “ragioni di Stato” che restano segrete.
L’avvocato Luigi Li Gotti, ex missino e ex parlamentare di Di Pietro, che ha presentato l’esposto per favoreggiamento e peculato coinvolgendo Giorgia Meloni, Matteo Piantedosi, Carlo Nordio e Alfredo Mantovano, ha dichiarato ai giornali di aver preso una “scelta giudiziaria, non politica”. Una frase formalmente corretta, ma non del tutto vera, poiché Li Gotti ha acceso una miccia su una situazione delicata, consapevole che avrebbe scatenato un caos mediatico-giudiziario (e questo era proprio il suo obiettivo, un intento politico più che di giustizia).
Colpevolisti e complottisti
Sarebbe possibile dibattere a lungo se il ministro Nordio avesse dovuto emettere una misura cautelare contro il capo della polizia libica dopo la richiesta dell’Aja e l’informativa inviata dalla Procura al Ministero della Giustizia, considerando anche l’arresto e la scarcerazione di Almasri. Si potrebbe anche analizzare il profilo del libico, apparentemente un individuo losco, o notare, come ha fatto la premier Meloni, che la richiesta dell’Aja è arrivata solo dopo l’arrivo in Italia dell’uomo, che aveva già viaggiato per tre Stati europei per una dozzina di giorni.
Tuttavia, queste sono solo questioni secondarie rispetto alla sostanza del problema. Anche la distinzione tra colpevolisti e complottisti può essere utile in base alle preferenze politiche, ma non tiene conto del fatto che i rappresentanti di uno Stato talvolta devono prendere decisioni motivate da “ragioni” che, se non sempre chiare, hanno comunque delle basi. Questo è ciò che intendiamo per “ragioni di Stato”.
Ragioni di Stato
Chi detiene il potere in Italia non può ignorare queste ragioni. Non può ignorare che nel gennaio 2025, rispetto all’anno precedente, c’è stato un aumento degli sbarchi di migranti sulle coste italiane. L’anno scorso sono stati 1.863, quest’anno 3.354, con circa 1.500 solo la settimana scorsa, come riportato dal Corriere.
Possiamo piacerci o meno, ma nel mondo reale, e non solo in un mondo di persone senza macchia che si indignano per il rimpatrio del libico, queste sono le situazioni che si verificano.
Si potrebbe pensare a lungo sulla questione, ma non si può ignorare che certi risultati si ottengono solo grazie a compromessi. Mettere in ballo la magistratura su questioni di sicurezza nazionale è solo un modo per politicizzare la questione.
E questo non è stato fatto in modo disinteressato nel caso Almasri. Come riportato da Maurizio Belpietro sulla Verità: “a nessun magistrato è passato per la testa di mandare un avviso di garanzia a chi ha permesso la scarcerazione di Cecilia Sala in cambio della liberazione di un ingegnere iraniano accusato di aver procurato il materiale per un attentato”. E giustamente nessuno lo ha fatto, perché era l’unico modo per riportare la giornalista a casa.
Inchieste ad minchiam
Anche i politici di sinistra sanno bene questi fatti, ma fanno finta di non saperlo. Come ha osservato Mattia Feltri sulla Stampa, negli ultimi trentuno anni, sette dei dodici presidenti del Consiglio sono stati indagati dalla magistratura, sia di destra che di sinistra, con un solo condannato (Silvio Berlusconi). Questa pratica di indagini sui vertici dello Stato è diventata quasi ordinaria in Italia, mentre in altri Paesi civili come gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia, la Germania, la Svezia e l’Australia, le inchieste di questo tipo sono praticamente inesistenti.
Un’altra ragione valida per separare le carriere.