
L’ultimo allarme in ordine di tempo arriva dalla Germania, il paese che ha visto il più recente attentato terroristico da parte di un “lupo solitario” jihadista, il 26enne siriano richiedente asilo Issa Al H., che il 23 agosto scorso nella città di Solingen ha ucciso tre persone e ferito altre otto a coltellate.
Thomas Mücke, cofondatore e direttore esecutivo di Violence Prevention Network (una Ong tedesca che si dedica alla prevenzione dell’estremismo politico e alla deradicalizzazione dei detenuti per atti di terrorismo), informa che gli attacchi e i falliti attentati successivi ai fatti del 7 ottobre 2023 in Europa occidentale sono “quadruplicati” rispetto allo stesso periodo del 2022. “Gli estremisti stanno usando il conflitto in corso come uno strumento per riguadagnare slancio”, dice riferendosi alla guerra a Gaza. Secondo dati ufficiali, risultano documentati 7 attacchi riusciti e 21 falliti o sventati dalle forze dell’ordine. “L’Isis ha identificato l’Europa occidentale come bersaglio di attacchi, ovviamente con l’intenzione di diffondere orrore e paura e dividere la società in modo da poter reclutare ancora più persone per la propria causa”.
Siamo nella fase del “jihad d’atmosfera”
Mücke spiega che gli autori dei reati sono diventati più giovani rispetto a quelli dei due decenni scorsi, e che ben due terzi degli arrestati in Europa occidentale sono adolescenti. A ciò corrisponde il fatto che la loro radicalizzazione e infine il loro reclutamento in organizzazioni terroristiche non sono avvenuti attraverso moschee o centri culturali, ma essenzialmente online: “Internet svolge un ruolo importante nella radicalizzazione e nella mobilitazione, nonché nel reclutamento”. I fatti di Solingen potrebbero influenzare l’esito delle elezioni regionali del 1° settembre in Turingia e Sassonia, dove Allianz für Deutschland (AfD) è già data al primo o al secondo posto con oltre il 30 per cento dei voti nei sondaggi.
Gli attacchi di Mannheim e Solingen, entrambi opera di richiedenti asilo la cui domanda era stata respinta, danno credito alla tesi secondo cui la nuova ondata di attentati jihadisti in Europa occidentale sarebbe opera di “lupi solitari” e non di organizzazioni articolate e dotate di mezzi. Gilles Kepel, lo studioso francese dell’islam politico, distingue tre fasi dell’offensiva jihadista contro l’Occidente: gli attacchi diretti da al Qaeda nel primo decennio del XXI secolo, quelli favoriti o assistiti da network collegati informalmente allo Stato Islamico nel secondo decennio del secolo, e oggi la fase di quello che definisce il “jihad d’atmosfera”, non collegato a leadership stabili e fatto di azioni decise su base individuale.
Ma i “lupi solitari” non sono solitari
Sta di fatto che i “lupi solitari” – i cui atti sono meno distruttivi di quelli precedenti ma più difficili da prevenire – non sono in realtà davvero solitari. Quasi sempre alla cattura di un “lupo solitario” subito dopo o alla vigilia dell’attacco progettato segue l’incriminazione di complici che lo hanno favorito in vari modi. “Quello che vediamo spesso”, dice Carola García-Calvo, ricercatrice dell’Elcano Royal Institute di Madrid, “è che nonostante agiscano da soli, l’indagine rivela poi che l’aggressore aveva contatti con altre persone legate a gruppi terroristici. Si scopre che non erano così soli come sembravano”.
“Le reti terroristiche possono prendere di mira questi individui vulnerabili e manipolarli per commettere atti terroristici come attori solitari, apparentemente soli, ma in realtà al servizio degli obiettivi delle reti più grandi”, spiega Jan Op Gen Oorth, portavoce di Europol. “L’isolamento sociale e la mancanza di un solido sistema di supporto rimangono le principali vulnerabilità. I terroristi sfruttano queste vulnerabilità per diffondere il loro messaggio e reclutare nuovi seguaci. Ciò è particolarmente preoccupante se si considera il numero crescente di giovani, compresi i minorenni, esposti alla propaganda terroristica online”.