Una serie di video-documentari diffusi recentemente da Maša Pevčik, una nota collaboratrice di Naval’nyj, mette in luce le responsabilità di quanto accade oggi in Russia sugli oligarchi che hanno impedito il progresso verso una società libera e democratica negli anni Novanta. I russi si definiscono sempre più come vittime e perdenti, ripensando con amarezza a quel periodo di transizione. Il dibattito pubblico si accende e si riflette anche nei social e nelle interviste, alimentando un senso di colpa e rancore diffuso.

Questi sentimenti si riflettono anche nei recenti sconvolgimenti globali, dalle elezioni in Europa e in America all’escalation di violenza in Ucraina. I russi si sentono ancora le conseguenze di quel periodo, con la sensazione costante di aver perso. La narrazione di Pevčik, amplificata dai video scandalistici del movimento di Naval’nyj, punta il dito contro i responsabili di allora, accusandoli di aver consegnato la Russia nelle mani di Putin.
Recentemente, anche le interviste di Jurij Dud a personaggi chiave del passato, come Khodorkovskij, hanno riportato in primo piano il dibattito. Si discute delle scelte politiche e economiche degli anni Novanta, mentre nel presente si verificano drammatici eventi in Ucraina. I russi si fermano a rimuginare su quegli anni di transizione, incapaci di superare i sensi di colpa e i rancori che li tormentano.
Questa profonda introspezione sembra essere catalizzata dai documentari di Pevčik, che permettono ai russi di esaminare criticamente quel momento cruciale nella loro storia. La ricerca della verità e la necessità di attribuire responsabilità si scontrano con un presente politico oppressivo e una nostalgia per un’epoca che sembra ormai irrimediabilmente perduta.